Ricerche Storiche


ANNO 2011
NUOVI RISULTATI DALLA RICERCA SUL POSTO

Continuando le ricerche di tracce murarie nell’area intorno alla Rocca, considerando che un castello del genere non può essere stato  realizzato a prescindere da una cinta di difesa esterna.

Sono state ricercate tracce murarie che potessero testimoniare la presenza di altre opere di difesa.
I resti delle mura a valle della rocca  in prima battuta erano stati considerati come resti di un barbacane o anteporta, con una configurazione monovano, di forma più o meno quadrata, ma la mancanza di parallelismo nelle linee di spiccato tra il muro lungo parallelo alla rocca e il muro dello sperone a sud fa ipotizzare che tali mura possano far parte di una cinta muraria continua che avvolge la rocca sia a sinistra che a destra del fronte a che si concluda sul lato ovest dove è documentato un abitato di case e capanne addossate ai muri della rocca.

Sono stati fatti anche i rilievi altimetrici dell’area del fossato nord con una indagine nel bosco adiacente con una scoperta di notevole interesse: sul lato nord prima dell’inizio della depressione si notano affioranti delle pietre di arenaria o marna compatta alle quali fa seguito verso nord una sequenza di pietre poste su due linee parallele, a distanza di circa m1,70-1,80 una dall’altra che si dirigono in modo allineato verso la strada che un tempo saliva da Pian di Piega sul versante nord della collina.  Per una lunghezza di circa 45 metri queste pietre individuano una strada di accesso alla rocca fino al fossato dove viste le tracce murarie poteva essere presente una torre dalla quale si accedeva tramite un passaggio del tipo a ponte alla prima cinta conseguente alle mura presenti a valle del castello,  prima cinta di difesa con torri quadrate e da qui tramite una area, questa barbacane, alla porta della rocca. 

Queste ipotesi dovranno trovare ulteriore verifica mediante scavi di indagine  all’interno del fossato e nell’area circostante, dopo la ripulitura della strada delimitata dalle suddette pietre, proprietà della Comunanza di Rocca e Vallato.

Si riporta una sezione della collina su cui è posta la rocca con l’andamento del fossato e della strada a nord, e una ipotesi ricostruttiva dell’area.

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Ipotesi Planimetrica

 

7 - 1422, agosto 31, Roccacolonnata
I comuni di San Ginesio e di Sarnano, volendo porre termine alle questioni di confine riguardanti in particolare la selva e la terra Aloci ed essendo rappresentati rispettivamente da ser Bartolino di ser Basilio e da ser Taddeo di Tommaso, rimettono la causa nelle mani di Berardo e Piergentile di Rodolfo Varano, al cui lodo arbitrale le parti in causa si sottopongono con giuramento dei loro sindaci e procuratori. L'atto viene stipulato "in barbacano Rocche Colompnati infrascripti magnifici domini Berardi, sito inter primam portam diete rocche et introitus dieti barbacani et portam magnam diete rocche, que roccha posita est in pertinentiis provintie Marchie Anchonitane iuxta res infrascripti magnifici domini Berardi undique"
(ASCSG, capsa VI, 14/13).
Si veda anche ASCS, Fondo Pergamenaceo, n. 685.

 

 

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Roccacolonnalta
Prime ricerche storiche
del prof. Rossano Cicconi

La ricerca su Colonnata è stata condotta sui documenti conservati presso l’archivio di stato di Camerino, l’archivio di stato di Fermo, l’archivio comunale di Sarnano, l’archivio comunale di San Ginesio e sulla non vasta bibliografia esistente che riguarda gli studi del territorio sarnanese e ginesino effettuati in particolare da Giacinto Pagnani e da Febo Allevi oltre che da Telesforo Benigni e da altri studiosi che si sono interessati in senso lato dell’area che qui interessa come Antonio Bittarelli per Pieca, Delio Pacini e Fabia Domitilla Allevi per le famiglie dei Mainardi, Offoni e Brunforte che possedevano in loco, Silvia Campilia per le ricerche sull’abbazia di Rambona che ugualmente aveva beni nell’ambito delimitato dal Fiastra (Flastra minor) e dal Fiastrone (Flastra maior).

Inizio da quast’ultima studiosa, che oltre tre decenni or sono pubblicava il più antico documento che si conosca del 1045, già reso noto da Febo Allevi e da Fabia Domitilla Allevi, che ora possiedo in fotografia per avere una lettura il più possibile corretta e custodito presso la biblioteca apostolica vaticana. Si tratta del piccolo codice barberiniano latino 2026, di 45 carte e avente come titolo “Epistolae quaedam summorum pontificum, cardinalium et alia monumenta”, cioè una serie di antichi documenti in copia eseguita nel XVII secolo, che alla c. 33r-v contiene un atto del I maggio 1045 con il quale Bernardo del conte Offone, con il consenso del figlio Bernardo e della moglie, concede beni per 180 modìoli (circa 60 ettari) “in fundo Pleca” al monastero di S. Michele, soggetto all’abbazia di S. Flaviano di Rambona, “in comitatu Camerino in curte Bonevilli et Valle Colonnari” per 140 soldi, con licenza di costruire un mulino ai piedi di detta valle “a rivo Folio usque ad Pontem Altu”. Tra i lati confinanti si dà il Flastra, vale a dire il Fiastrone, e la strada che conduce al Sasso Rosso; in ogni caso non c’è dubbio che ci troviamo in questa zona e nella valle qui chiamata Colonnari, cioè di o del colonnaro/dei colonnari, che può richiamare la presenza di colonne usate come termini agrimensori di confine come ritiene il padre Pagnani ovvero come presenza generica di colonne o pilastri. C’è però la possibilità, a mio parere più veritiera, che il toponimo derivi da colonare/colonatus, cioè coltivare a colonìa ovvero terra condotta da coloni, e il termine colonus affonda le proprie radici in piena epoca romana. Come stiano le cose non è ora il caso di indagare più a fondo, ma resta il fatto che siamo in presenza di un toponimo antico, che nella parlata popolare diventerà Colonnato/Colonnata per più facile assimilazione di colonus a colonna, e in epoca più vicina a noi Colonnalta, come in effetti risulta nelle carte dell’I. G. M. levata del 1955, anche in questo caso, però, per il fatto che nella bocca dei parlanti meglio si comprende Colonnalta rispetto a Colonnata, che potrebbe dare quasi l’idea di un errore non conoscendo l’origine del toponimo, che in effetti nei documenti non compare mai come Colonnalta. Dunque, per riassumere, colonari-colonnato/a, colonnalta.

Dall’XI secolo, almeno per quanto ne posso sapere, si passa poco oltre la metà del XIII, quando iniziano i contrasti con i Brunforte, possessori del castello di Colonnato, la cui erezione credo che si possa collocare, in mancanza di notizie più certe, nella seconda metà del secolo XII o nei primi anni di quello successivo ad opera degli stessi signori di Brunforte a presidio dei propri beni in una zona che aveva come confinante il comune di San Ginesio in quel periodo in forte e rapida espansione territoriale, fino a giungere alla concessione del 1265 da parte del legato della Marca Simone Paltinieri, che cede il “castrum Colonati” a San Ginesio.

Faccio a meno di ricordare minutamente la questione, che si trascina con citazioni a giudizio da entrambe le parti in causa, fino ad arrivare al lodo arbitrale del 24 febbraio 1278, lodo perduto e che possediamo solo nella parziale trascrizione di metà Cinquecento di Marinangelo Severini, con il quale si stabilisce che Rinaldo di Brunforte debba possedere il Poggio di S. Michele e il castello di Colonnato, ad eccezione di 12 famiglie, lasciando ai ginesini il possesso del monte di Colonnato, di cui si danno i confini che vanno fino al Fiastrone, e la possibilità di costruire una strada di uso pubblico larga 12 piedi dal Sasso Rosso fino al castellare di Pieca.

Nella divisione di beni del 1313 tra i Brunforte, ai fratelli Nallo, Scattone e Ottavianuccio, figli di Ottaviano fratello di Rinaldo, tocca il “castrum Colonnati cum girone et burgo et sua senayta”, segno che a quel tempo non vi era solo il castello, che sappiamo già costruito almeno a metà Duecento, ma anche il girone, cioè la parte più interna, più alta e meglio difesa del centro murato e il borgo, che può corrispondere alle case costruite a poca distanza dalle stesse mura castellane. Non credo infatti, come avevo ritenuto in un primo momento, che il borgo dei primi anni del Trecento sopra ricordato possa identificarsi con l’agglomerato che va oggi sotto il nome di Rocca, che sappiamo costruito successivamente quando il castello, ma non la rocca, verrà abbandonato.

Il castello di Colonnato, oltre al girone e al borgo, aveva anche la sua “sinaita”, cioè la sua confinazione territoriale (il termine, come è noto, è di derivazione longobarda), e di conseguenza il suo “districtus”, ma di queste problematiche si parlerà più diffusamente a suo tempo e dopo aver esaminato con maggiore attenzione le carte raccolte, attraverso le quali cercherò anche di costruire una carta territoriale come fatto qualche anno fa per Poggio San Costanzo.

Nel 1317 Vanne di Ottaviano Brunforte vende “nobili viro” Corrado di Bonconte da Sentino, abitante a Sarnano, il monte di Colonnato di sua pertinenza per 216 lire di ravennati piccoli secondo i confini che toccano i castelli di Monastero dell’isola, Fiastra e Brunforte. Ma è più importante, al di là della compravendita in se stessa, il fatto che essa viene stipulata “in palatio Colonati”, segno che già in tale anno nel castello di Colonnato vi era sicuramente un palatium nobiliare di residenza.

Nel primo quarto del Trecento abbiamo dunque il castello con girone fortificato, palazzo e borgo, ma non ancora la rocca o arce, o almeno non ne abbiamo notizia, rocca che i documenti registrano invece più avanti. Infatti nel 1330 Giovanni di Ottaviano Brunforte, che agisce anche a nome del fratello Ottaviano, vende a San Ginesio per 8000 fiorini d’oro il “castrum Colompnati cum rocca, domibus, muris et munimentis suis”, terre, boschi, acque, mulini e tutto ciò che si contiene nel suo territorio insieme alla rocca di Ragnolo con relativo distretto e vassalli secondo i confini (del castello di Colonnato e della rocca di Ragnolo) che toccano il Fiastrone e i territori di San Ginesio, Sarnano, Col di Pietra, Monastero dell’Isola e Brunforte (castello).

Dalla seconda metà del XIV secolo e fino ai primi decenni del XV la rocca di Colonnato, strategicamente importante per la sua posizione, è nelle mani dei Varano signori di Camerino e di numerose altre località, tra le quali San Ginesio, in maniera quasi ininterrotta. Altrettanto farà Francesco Sforza durante il suo decennio di dominio nella Marca tra il 1433 e il 1443, fino a quando il castello e la rocca di Colonnato torneranno nel pieno dominio di San Ginesio, che nell’arce manteneva stabilmente un proprio castellano con almeno tre addetti (famuli) di età non inferiore a 18 anni e adatti a portare le armi (“acti ad arma portanda”).

La rocca, tuttavia, continuava a mantenere ancora la sua importanza, se Innocenzo VIII con breve del 23 marzo 1487 concede ai ginesini di applicare per tre anni il denaro da versare per le taglie “in arcis Colunnati reparationem”, e la scelta della persona per la custodia della rocca era ritenuta di grande importanza, come mostra la rubrica XIX del II libro degli statuti di San Ginesio del 1582, dalla quale si ricava che il castrum, cioè il castello, situato come riferisce un documento quattrocentesco intorno e ai piedi della rocca, era ormai scaduto a villa, dunque sotto forma di un nuovo insediamento privo di mura e di elementi difensivi come appare al giorno d’oggi, che  ha conservato il nome di Rocca.

A questo punto dovremmo avere, in ordine temporale: la Valle Colonnari della metà dell’XI secolo senza la presenza del castrum; il castello almeno a metà del XIII secolo; il girone e il borgo certamente nel 1313, il palatium sicuramente nel 1317, altrettanto sicuramente la rocca nel 1330, la ricostruzione più in basso dell’agglomerato (pur rimanendo in piedi la rocca) tra Quattrocento e Cinquecento.  Questa è la scansione temporale offerta dai documenti, per noi molto importanti, anche a motivo del fatto che ci danno una cronologia sotto molti aspetti attendibile e persuasiva.

Non siamo in grado, come accennato, di collocare con esattezza il borgo attestato nel 1313, che probabilmente era a ridosso o poco sotto le mura castellane che chiudevano il castrum e la rocca e che venne abbandonato e ricostruito, si è detto, secondo la tipologia della villa senza protezione di cinta muraria. Lo stesso fenomeno, peraltro molto comune, che ha interessato il vicino castello di Morico, abbandonato nel corso del primo Quattrocento e ricostruito più in basso come villa,come appare oggi, alla stessa stregua di Rocca.

La rocca del castello di Colonnata, ritornata ora alla luce in modo egregio e di grande interesse strategico e militare per oltre due secoli, perderà mano a mano la sua importanza e il Cinquecento e il Seicento sono pieni di cause e di contrasti tra l’amministrazione ginesina e gli abitanti di Rocca, eredi dell’antico castello-rocca, per pretese autonomie da essi godute e per i diritti di pascere e legnare sul monte Colonnato e sul Ragnolo.

Nel 1762 Paolo Riccomanni può scrivere che si riconosce “l’antichità di questo castello dalla sua rocca formata a grosse semicolonne tutte murate ed incorporate nelle forti pareti di essa con porta saracinesca di fortissima struttura, lavorata all’uso antico e romano con calce e rena, ancora in piedi esistente benché abbandonata”, mentre nel 1846 Gaetano Moroni nel vol. XL del suo notissimo Dizionario di erudizione ricorda che “i camerinesi tolsero affatto ogni avanzo alla rocca Ragnola esistente già nel territorio”, di cui infatti non si conosce oggi l’esatta ubicazione, mentre “si vedono ancora grandiosi avanzi” della rocca di Colonnato, “che dominando il castello fu sempre tenuta pel più munito e sicuro propugnacolo esterno de’ ginesini”.

A riprova di ciò si può leggere l’annotazione sul dorso della pergamena che sancisce nel 1330 il passaggio di Colonnato dai Brunforte a San Ginesio, dove una mano settecentesca ha scritto riguardo al documento: “da conservarsi diligentemente perché è il fondamento per garantire le nostre montagne contro i sarnanesi e i collonaltesi”. Non mancava la chiesa del castello, dedicata a S. Andrea, che si trova attestata a partire dal 1300 ma ormai cadente nella prima metà del XIX secolo, situata su una collina a poca distanza dall’attuale paesino di Rocca in direzione sud.

Questa, in rapidissima sintesi, la successione degli eventi che riguardano il castello e la rocca di Colonnato tratta dalla lettura dei documenti che si conservano in modo particolare a Sarnano e a San Ginesio, mentre a una stesura più ampia, più dettagliata e più meditata darò inizio subito dopo le festività natalizie come promesso alla proprietà nella persona dell’architetto Giuseppe Gentili e al prof. Pio Pistilli che da qualche anno sta seguendo lo scavo e l’analisi del manufatto che sta risorgendo a nuova vita.

Spero inoltre, letti con attenzione i documenti reperiti, di dare risposte ancora più persuasive e di sciogliere i dubbi che si presentano inevitabilmente ad ogni ricerca, soprattutto quando essa è agli inizi, in quanto senza le dovute certezze è inutile e addirittura controproducente esporsi più di tanto nelle affermazioni, che saranno rese più approfondite e complete nel lavoro vero di primavera.

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Maria Luisa Di Silvio

LE CERAMICHE DI ROCCACOLONNALTA

Le rovine di Roccacolonnalta, oggi nel territorio comunale di San Ginesio, sono ubicate su un colle situato nell’ampia vallata del Fiastrella, con alle spalle la catena dei monti Sibillini. Nelle due campagne di scavo, tenutesi nel 2007 e nel 2008, sono stati finora raccolti circa 2535 frammenti ceramici appartenenti a classi ed epoche differenti, quasi sempre contestuali alla vita del castello (XIV-XVI secolo). I pezzi, qui riportati, sono stati rinvenuti in massima parte nell'area di partenza dell'indagine archeologica, e più precisamente nel cortile che separa gli spazi coperti della rocca,  nel vano collocato a sud-ovest della corte, mentre un numero piuttosto ridotto proviene dall’ambiente di impianto rettangolare posto a settentrione. Tutti i reperti, comunque, erano collocati allo stesso livello stratigrafico, ovvero sul piano di calpestio del complesso, da tempo ridotto allo stato di rudere; i ritrovamenti più antichi invece, sono emersi alla base della torre quadrangola, nel corso di un sondaggio che è sceso di circa quattro metri rispetto alla quota del cortile e volto a verificare la stabilità del bastione.

Il maggior numero dei reperti appartiene al periodo tardo medievale e rinascimentale, anche se non mancano alcuni intrusi di epoca posteriore. Malgrado le ceramiche siano giunte in modo frammentario, il fatto che abbiano mantenuto uno stato di conservazione mediocre ha permesso, dopo un’accurata pulizia, la loro catalogazione e il riassemblaggio delle forme parzialmente ricostruibili. Unica eccezione è stato il recupero nell’ultima campagna di scavo di un pezzo quasi integro (una piccola bottiglia, CA/4/2), riuscito a sopravvivere all'incendio, con conseguente crollo delle strutture in alzato, che sul finire del XVI secolo devastò il fortilizio in coincidenza con il suo definitivo abbandono.

Va da sé che in questa breve trattazione verranno presi in considerazione solo una minima parte dei reperti al fine di dare un’idea della qualità e varietà tipologica, stilistica e decorativa delle ceramiche presenti nel sito. Per avere un quadro d’insieme mostro l’elenco delle classi, ciascuna corredata dalla sua percentuale rispetto al totale generale, compresi anche i frammenti non identificati: ceramica acroma da fuoco 35%, ceramica acroma 3%, invetriata 3%, graffita 7%, maiolica arcaica 3%, maiolica rinascimentale 49% (fig. 1).
In una tabella sinottica ho riunito queste classi affiancate ciascuna dalle tipologie ritrovate, dal tipo di decorazione e dalla cronologia. In essa sono stati inseriti anche i pezzi di cui non è stato possibile dedurne la tipologia per la loro frammentarietà.

I reperti ceramici usciti dal sito di Roccacolonnalta danno informazioni relative alla vita quotidiana, specialmente i frammenti che presentano decorazioni.
Per quanto riguarda le ceramiche graffite, la cui datazione oscilla dalla seconda metà del XIV al XV secolo, esse documentano rapporti con l’area umbra e abruzzese, quest’ultima caratterizzata da un forte horror vacui. È probabile che in loco ci sia stata un'imitazione dei prodotti umbri ed un'importazione di quelli abruzzesi, in tal caso favorita dagli stretti contatti economici che intercorrevano tra le due regioni dovuti anche al fenomeno della transumanza.
Tra la fine del XIV e gli inizi del XV secolo si pongono pure le maioliche arcaiche, di cui sono state ritrovate sia forme aperte che chiuse. La presenza esclusiva di questa classe nei livelli inferiori della rocca conferma che nel XIV secolo l’edificio era operativo ed abitato. Questo tipo di maiolica dovrebbe essere di produzione locale, ma legata per le forme e le tipologie decorative all’area umbro-laziale.
Tuttavia la classe che consente di avere maggiori conoscenze sugli usi e costumi dell’epoca, congiungendoli ai dati cronologici, è la maiolica rinascimentale, databile dal XV al XVII secolo. Le ornamentazioni presenti sui frammenti ceramici sono varie: alcuni decori testimoniano pezzi isolati, altri presentano piccole variazioni, altri ancora vengono ripetuti identici su diverse forme per identificare dei serviti. La diversificazione tipologica e stilistica fa apprezzare l’apparato decorativo di questi manufatti, ma allo stesso tempo documenta anche sui contatti che allora intercorrevano fra il Piceno e alcune regioni italiane. Inoltre, la differente qualità dei reperti riconducibili al medesimo ambito cronologico fa ipotizzare delle ineguaglianze sociali tra i suoi consumatori o delle diversità dovute alle varie occasioni d’uso. Vanno infatti notate ceramiche di tipo “ordinario” e ceramiche di un certo pregio, sebbene di queste ultime rimangano minori testimonianze. Per questa classe la produzione andrebbe in gran parte assegnata a botteghe locali, alcuni pezzi da imitazioni dell’area derutese, altri dell’area romana, altri ancora per quanto riguarda le maioliche decorate alla “porcellana” dell’area toscana, i cui decori risultano semplificati e meno definiti; infine ulteriori reperti si configurano come prodotti importati da Deruta.
A confermare che il XVI secolo fu l’ultima fase nella quale la rocca fu operativa, oltre alla vasta gamma di ceramiche risalenti a quest’epoca, sono state trovate anche quattro monete (una in argento e tre di mistura) di cui tre periodicizzate (fig. 2). La moneta in argento appartiene all’epoca di papa Paolo III (Alessandro Farnese 1468-1549) salito al soglio pontificio dal 1534 e morto nel 1549. Si tratta di un Paolo d’argento che presenta sul dritto lo stemma papale a targa sagomata con la leggenda PAVLVS·III· - ·PONT·MAX, e sul rovescio la figura di S. Paolo con la spada eretta nella mano destra e libro aperto nella sinistra, con in alto la leggenda S· - ·PAVLVS· - ·MACER, dalla quale si deduce che il pezzo fu coniato nella zecca di Macerata (1). La seconda moneta di minori dimensioni è invece un quattrino, il cui metallo è una mistura, e risale all’epoca di Gregorio XIII (Ugo Boncompagni 1502-1585), pontefice dal 1572 al 1585; esso reca sul dritto lo stemma papale a cuore con le chiavi slegate e la leggenda PONT·M·GREGO·XIII, mentre il rovescio è illeggibile causa la corrosione. Infine un altro quattrino, sempre in mistura e delle medesime dimensioni del precedente, è da datare al pontificato di Sisto V (Felice Peretti 1521-1590), dunque dal 1585 al 1590. Anch’esso ha sul dritto lo stemma pontificio a ovale con la leggenda XISTVS· - ·V [P·MAX], laddove sul rovescio il busto mitrato del santo con la leggenda PATERNIANV[S]· - ·[F]A[N]I (2) ne rimanda il conio alla città marchigiana di Fano.

1) All’epoca di Paolo III troviamo monete coniate nelle zecche di Avignone, Perugia, Ancona, Camerino, Macerata, Fano, Bologna, Piacenza e Parma (E. Martinori, Annali della Zecca di Roma, fasc. 9, Roma 1917, p. 33).

2) F. Muntoni, Le monete dei Papi e degli stati pontifici, vol. II, Roma 1996, in part. p. 95, n. 114 e tav. 66.

 

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LO STEMMA DEI SIGNORI DI BRUNFORTE E DEL COMUNE DI SARNANO

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Lo stemma dei Signori di Brunforte, storicamente non è stato precisamente documentato, se non legato a quello dei Da Varano, duchi di Camerino.

Nei primi anni ’90 Giampaolo Proietti, uomo con vari interessi storico-artistici, fu anche direttore dello Sferisterio di Macerata, abitante in Sarnano, mi portò una serie di fotocopie di una parte dei Codici Capponiani ( biblioteca Vaticana 1745) dove, nell’ambito della rappresentazione della stirpe Varanea, presente nell’aula magna del palazzo ducale di Camerino, era riportato lo stemma di Bellafiore di Brunforte, andata in sposa a Berardo II Da Varano nel 1341. Lo stemma conseguente al matrimonio della Brunforte divenne quindi quello costituito da uno scudo bipartito, che per metà riportava l’effige dei Da Varano e per l’altra metà lo stemma della casa Brunforte.

Da questo riscontro, si ipotizzò che lo stemma dei Brunforte fosse costituito dal drago alato con le fauci aperte, con le zampe anteriori di aquila il corpo di serpente. In araldica il drago è una figura chimerica che simboleggia vigilanza, custodia e fedeltà. Il drago è anche assunto come emblema di valore militare. Il drago è rappresentato, di norma, alato e con le fauci aperte. Le zampe anteriori possono essere sia d'aquila che di leone, il corpo è di rettile, come la coda, e le zampe posteriori, se presenti, sono di leone. (Wikipedia). Precedentemente padre Giacinto Pagnani, lo storico di Sarnano e non solo, aveva individuato come stemma dei Brunforte quello posto sulla porta Solestà in Ascoli Piceno, fatta costruire da Fidesmido da Mogliano nel 1230 quando era Podestà.

I Signori di Brunforte, fin dalle origini, ebbero un rapporto particolare con San Francesco e i Francescani, tanto da costruire a proprie spese vari conventi per i Frati Minori, nei dintorni di Sarnano. Uno dei più antichi e conosciuti, è il convento di Roccabruna, posto a circa due chilometri a nord di Sarnano. Il convento fu costruito da Fidesmido, forse durante la presenza di San Francesco nelle marche, nel 1215, e nel suo testamento venne specificatamente citatati questo convento, affinchè venisse sempre mantenuto in buone condizioni e provvisto del necessario dagli eredi della famiglia Brunforte.

Il nipote di Fidesmido, Rinaldo (il grande) nel suo testamento del 1281 redatto nel convento di Roccabruna, segno questo di rilevante considerazione per questo luogo, mantiene per gli eredi le stesse indicazioni del nonno e cioè la buona manutenzione del convento e la somministrazione di vestiario ed altro ai frati che lo occupavano.

Per la nascente Comunanza di Sarnano il Convento di Roccabruna fu di fondamentale importanza, se come noto da più fonti, San Francesco, presente nel Convento, trovò un punto di pacificazione tra gli uomini di Sarnano e i Signori di Brunforte, lasciando come segno di pace tra i contendenti un Serafino impresso con il suo cordone su di una tavoletta di cera, in memoria dell'angelo che sul monte della Verna aveva impresso le stimmate sul corpo del santo stesso.

Il primitivo stemma del Comune di Sarnano fu solo il Serafino a sei ali, che è tutt’oggi presente nello stemma del Comune. L’evento è riportato anche su di una tela del Procaccini del 1646, raffigurante San Francesco in atto di effigiare lo stemma e secondo la tradizione, tale evento dovrebbe essere avvenuto in luogo baricentrico rispetto al castello di Brunforte, al Convento di Roccabruna e al Comune di Sarnano, e precisamente nella pianura di Campanotico. dove poi in ricordo dell’evento nel 1683 fu costruita una cappella tutt’oggi esistente. Nel 1707 , il Vescovo di Narni, Francesco Picarelli da Sarnano, commissionò una incisione su lastra di rame, rappresentante San Francesco nell’atto di imprimere il Serafino con il suo cordone, alla presenza delle rappresentanze dei Castelli che diedero origine al Comune di Sarnano.

L’attuale stemma Comunale di Sarnano è costituito da uno scudo tripartito, con in alto tre di gigli bianchi su campo verde, e nella parte sottostante da un lato è presente una croce bianca su campo rosso e sull’altra il Serafino a sei ali bianco su campo azzurro.

La famiglia Brunforte edificò anche il convento dei Frati Minori oggi di San Liberato nel Comune di San Ginesio. Questo, fu edificato in memoria di Liberato da Loro Piceno nipote di Fidesmido, (Salvi), e morto nell’eremo di Soffiano situato nelle gole del Rio Terro, dove vissero inoltre altri frati minori, tra i quali frate Ugolino, figlio di Rinaldo il Grande, ( Salvi). L’eremo di Soffiano era nei possedimenti dei Brunforte e da loro edificato.

Anche il primitivo Convento dei Frati Minori di Amandola , oggi Chiesa di San Francesco, probabilmente avrà avuto qualche viatico dalla famiglia Brunforte poiché nel fregio fitomorfo in pietra, del portale, è raffigurato lo stemma che si pensa essere quello della famiglia Brunforte, e cioè il drago alato.

                                                                                                                       Arch. Giuseppe Gentili

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